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“C’è ancora domani”: il tassello mancante nella storia del cinema

Leggerete che il film di debutto alla regia di Paola Cortellesi è una storia di emancipazione femminile, ed in gran parte è così. Tuttavia, “C’è ancora domani”, film di apertura della diciottesima Festa del Cinema di Roma, offre a spettatori e spettatrici una visione totalmente inedita ma essenziale della condizione di essere umano in un contesto di aprioristica inferiorità. Per questo motivo si porta a casa tre premi dalla Festa del Cinema, che ritengo e spero siano solo i primi di una lunga serie di riconoscimenti.

La storia di tante

Siamo nella Roma postbellica: Delia (Paola Cortellesi) è spostata con Ivano (Valerio Mastrandrea), ha tre figli e a casa con loro vive anche il suocero. La vita della “brava donna di casa” è scandita da una cantilena quotidiana sull’inefficienza (e l’inferiorità) femminile, dallo stipendio più basso all’insulto gratuito. Delia lavora, si prende cura del suocero allettato, della casa e dei figli, ma comunque non è mai brava abbastanza: ogni sua “svista” viene ripagata con un ceffone da parte del marito. La figlia Marcella non può studiare in quanto donna e deve assolutamente trovare marito: a scuola ci possono andare solo i suoi fratelli. Sembrerebbe un quadro deprimente ed è così che lo descrive Marcella a sua madre, che invece non sembra dare cenni di cedimento di fronte ai continui svilimenti subiti. L’arrivo a casa di una lettera misteriosa per Delia sembra però cambiare le carte in tavola per lei e la sua famiglia.

Fino a qui sembrerebbe il film sulla “storia di Delia”, ma in realtà sono molte le donne presenti nel film, come anche le loro storie che scorrono in sordina: dall’amica Marisa col matrimonio “emancipato” (Emanuela Fanelli) alla negoziante Franca “senza uomo” (Paola Tiziana Cruciani) fino alla consuocera ricca e snob che preferisce per la figlia un matrimonio di convenienza piuttosto che d’amore.

“C’è ancora domani”, ricamando queste storie insieme, racconta tante durissime verità con garbo. È un film che riesce a far sorridere per quasi tutto il tempo, ma non lasciatevi ingannare dalla verace romanità: sono risate amare di uno spettatore che sa di non guardare un film distopico. Le scelte registiche sono particolari anche nel narrare il dramma della violenza domestica e si inseriscono a pennello nella crudele semplicità di pensiero che per secoli ha indotto la società patriarcale a ritenere la donna un oggetto da scambiare tra padre e marito.

Il lascito di Delia [mini spoiler]

In sala a stento si trattengono le lacrime sul finale di questo film che vuole raccontare tante cose, per nulla scontate né tantomeno obsolete. La prima, che non tutte le lotte fanno rumore. Che si può insegnare qualcosa senza prevaricare, ma dando l’esempio. La seconda, che nessuno può salvarci e che a volte non c’è nulla da salvare, specialmente le apparenze. La terza è che le cose più importanti per noi stessi le possiamo fare solo noi: in un film di qualche anno fa Delia sarebbe scappata, magari col sogno di un amore romantico e di una vita migliore. Visione ormai anacronistica della donna contemporanea, che per affermarsi non ha bisogno di passare da “un principe” all’altro.

Ed è qui che Paola Cortellesi regala al suo pubblico il frutto più maturo dell’evoluzione antropologica degli ultimi anni: un film dedicato a “Lauretta”, sua figlia, che ad oggi traduce in pellicola la celebre frase della schiava liberata Sojourner Truth:

[…] “Volevo dire qualcosa sui diritti delle donne, e così me ne sono uscita dicendo: sto seduta in mezzo a voi a guardare, e ogni tanto me ne verrò fuori a dirvi a che punto è la notte.”

E a che punto è la notte in Italia nel 2023? Oggi le donne votano, lavorano, guidano il nostro Paese per la prima volta nella storia. Mediamente guadagnano sempre un venti per cento circa rispetto agli uomini (Gender gap 2023) e quest’anno (gennaio-ottobre) una settantina di donne sono state uccise in ambito familiare, di cui una quarantina da partner o ex partner (Ministero degli Interni).

Curiosità [maxi spoiler]

Le donne hanno lottato in molti contesti storici per diventare persone giuridiche e avere dei diritti: nel nostro Paese hanno ottenuto il diritto al voto nel 1946, tappa che è stata solo una delle tante conquiste delle donne negli ultimi 100 anni, se pensate che anche lo stupro è diventato un reato contro la persona (e non più contro la morale pubblica) nel 1996. Il diritto delle donne italiane al suffragio fa parte del più ampio fenomeno di “democratizzazione” dopo la Seconda Guerra Mondiale: contesto in cui nel 1948 si inserisce la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e le varie nuove Costituzioni (tra cui quella italiana nel ’47) che introducono l’uguaglianza dei sessi.

Le donne votarono per la prima volta il 10 marzo 1946, e non il 2 giugno in occasione della scelta tra Repubblica e Monarchia. Si presentò alle urne l’89% delle donne.

Una delle scene più forti del film è quella in cui le donne protagoniste, prima di votare per la prima volta, si tolgono il rossetto: era stato infatti richiesto di non sigillare la scheda col rossetto per evitare di renderla nulla. Esiste – in memoria di questo gesto – il progetto “senza rossetto”, un lavoro di raccolta di testimonianze di donne che andarono a votare per la prima volta.

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3 commenti su ““C’è ancora domani”: il tassello mancante nella storia del cinema”

  1. Brava Alessia, un’analisi mai banale, forse da donna senti il problema della violenza domestica (ma in generale la violenza sulle donne) sulla pelle e ne trai conclusioni che mi trovano perfettamente d’accordo. Vorrei segnalare la scena in cui il giovane fidanzatino impone alla ragazza di togliersi il trucco, sei cosa mia, attualissimo!

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