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Disabili in Italia: addio ai patetismi con le Witty Wheels

I disabili in Italia vengono trattati come dei “poverini”. Due sorelle blogger raccontano con ironia i limiti del nostro Paese e l’esperienza all’estero.

Elena (21) e Maria Chiara (26) sono tornate nella campagna marchigiana, dove le buche non rendono facile la vita in carrozzina, dopo un soggiorno a Londra, “una parentesi rosa di multiculturalità e relativa liscitudine.

Non le ho intervistate perché “La disabilità non ha tolto loro il sorriso e la voglia di vivere“, come ha scritto qualche collega giornalista, ma perché raccontano sul blog Witty Wheels (Ruote Argute) i veri problemi della disabilità, senza i soliti patetismi.

Lo conferma la parodia di Occidentali’s Karma, che me le ha fatte conoscere.

– Italia vs Inghilterra: nella parodia cantate “mettimi una rampa”. Come viene supportata la disabilità nei due Paesi?

Maria Chiara: L’Inghilterra, pur con le sue criticità, è un’isola felice, sia per l’accessibilità che per i servizi di assistenza. Tutti i taxi e gli autobus di Londra sono accessibili, così come ogni ufficio pubblico e una discreta parte dei negozi. L’assistenza personale è un diritto più garantito che da noi, anche se subisce sempre attacchi e tagli dai vari governi.

L’Italia è un altro mondo: siamo beneficiari più di carità che di diritti. Banche e studi medici non accessibili sono la norma. Per i negozi la situazione è ancora più tragica. Prevale la mentalità per cui è giusto che un privato sia libero di non mettere una rampa nel proprio locale. Per quanto riguarda l’assistenza, i fondi vengono erogati in genere col contagocce, in modo discontinuo e a macchia di leopardo, spesso facendo capo a progetti macchinosi e pieni di vincoli, e comunque non sufficienti a coprire le spese. Se non sei autosufficiente la libertà e l’indipendenza te le devi pagare in gran parte di tasca tua.

– Ablesplaining: 3 esempi tipici.

Elena: Per spiegare l’ablesplaining mi rifaccio al concetto di “mansplaining”, che avviene quando un uomo “spiega” un argomento a una donna, senza avere più competenze di lei, credendosi superiore e spesso interrompendola mentre parla. Purtroppo è un fenomeno molto diffuso, ma l’ablesplaining ancora di più perché la concezione dei disabili è ancora più retrograda della concezione della donna. Qualche esempio:

  1.  Uno sconosciuto che mi dice dove devo andare, dandomi indicazioni non richieste su come guidare la mia carrozzina.
  2. Un’assistente che mette in dubbio le mie indicazioni su come svolgere il suo lavoro.
  3. Una persona non disabile che mi suggerisce di definirmi “diversamente abile” invece che “disabile”.

L’ablesplaining sottintende che la persona disabile venga sottovalutata e che alla sua esperienza e alle sue competenze sia dato poco valore.

– Stereotipi e drammi alla Barbara D’Urso: esempi per sorridere, incazzarsi, riflettere.

Maria Chiara: Una differenza lampante tra inglesi e italiani è il fatto che in genere i primi si rivolgono al disabile in carrozzina senza problemi, mentre i secondi tendono a parlare con qualunque essere camminante sia in tua presenza. ?

A volte mi sento dire da estranei per strada cose come “Poverina”. Chi lo dice, si crogiola nella propria presunta “fortuna”, senza sforzarsi di capire e conoscere realtà anche solo un po’ diverse dalla propria esperienza. I media di solito non aiutano a costruire un sentire comune più puro e libero da stereotipi: come diciamo nella parodia, “siam gente poverina“. ?

Una volta una mia assistente all’università ha adocchiato un ragazzo in carrozzina che non conoscevo e ha iniziato ad ammiccarmi, darmi gomitate, dirmi sottovoce di avvicinarmi a lui. Io non capivo, perché lei non era il tipo di assistente che faceva commenti sui ragazzi, quindi mi chiedevo se fosse impazzita. Poi ho realizzato con disagio che nella sua testa io e lui costituivamo un match in virtù delle sole nostre ruote.

witty wheels disabili in italia
Maria Chiara in questa foto, Elena in Copertina

– Storie londinesi: miti e leggende urbane. “Come fanno a vivere da sole due ragazze disabili?”

Elena: Dipende. Se non sei autosufficiente e quindi hai bisogno di assistenza per poter svolgere le tue funzioni vitali, è necessario avere la famigghia che ti supporta nelle spese. La categoria “studenti disabili all’estero” non è proprio contemplata e sono previsti pochissimi fondi. Ci sono dei fondi per chi va in Erasmus, ma non per chi frequenta un’università straniera. I fondi sono il problema principale, ma a livello di accessibilità Londra è messa abbastanza bene.

– Lavoro e studio: pregiudizi, figuracce altrui, sensibilità.

Maria Chiara: Non ho mai vissuto particolari pregiudizi a scuola o all’università, con l’eccezione di alcuni insegnanti nuovi che all’inizio si rivolgevano alla mia assistente invece che a me: si avverte spesso il fatto che i disabili vengono sottovalutati in partenza. Per quanto riguarda la sensibilità (anche se preferisco parlare di accoglienza e adattabilità) il mio esempio preferito è il mio maestro delle elementari, che organizzava tanti piccoli accorgimenti concreti per rendere ogni attività il più inclusiva possibile.

Tutti i maestri erano inclusivi. L’insegnante di ginnastica adattava gli sport di squadra in modo che avessi sempre un ruolo e l’insegnante di musica ha adattato per me un balletto di gruppo. Insomma erano avanti per gli anni ’90. Il maestro Nando, però, aveva una creatività particolare: mi ha anche comprato pastelli e matite con la punta più morbida in modo che potessi colorare senza stancarmi. Ero davvero viziata. ?

– Assistente: costi, requisiti, criticità.

Maria Chiara: L’Assistente Personale è la chiave per la libertà e l’autodeterminazione di molte persone disabili: mi sostituisce in quello che non riesco a fare fisicamente. In linea con la filosofia della Vita Indipendente, nata intorno agli anni ’60 del secolo scorso, non si tratta di un servizio calato dall’alto e standardizzato, ma tarato sulle necessità della persona disabile, che diventa datore di lavoro senza tramiti quali cooperative ecc., e si occupa della selezione e del training dell’assistente. Tutto questo per consentire alla persona la massima libertà di scelta: da chi farsi aiutare, come e quando. I requisiti del buon assistente personale sono elasticità, riservatezza, buona attitudine all’ascolto ed empatia.

I costi variano in base alle necessità. Chi è in parte autosufficiente potrà spendere circa 500 euro al mese per farsi aiutare con i lavori domestici e le commissioni. Le spese di chi non è autosufficiente possono arrivare a 2000 euro al mese o più. È un concetto liberatorio e fondamentale per molte persone disabili. Il problema è la mancanza di fondi, o meglio la mancata allocazione di fondi per questi progetti.

Al momento purtroppo sono pochissime in Italia le persone che fanno una vera Vita Indipendente.

Spesso e volentieri si devono integrare cifre sostanziose di tasca propria, per chi può permetterselo, oppure fare a meno di ore preziose di assistenza, come accade nella maggior parte dei casi.

I soldi in realtà ci sarebbero, ma pochi vengono dati direttamente in mano ai disabili. La maggioranza dei fondi viene incanalata per finanziare le cooperative di assistenti o istituti segreganti come le RSA (entrambe, incidentalmente, soluzioni più costose rispetto alla Vita Indipendente, poiché prevedono ingenti costi di gestione). Ci sono tanti attivisti che si impegnano anima e corpo per aumentare i fondi per la Vita Indipendente, ma c’è ancora tanto lavoro da fare.

Abbiamo bisogno del sostegno anche di chi non è disabile. È una battaglia troppo grande perché possa risultare efficace restando sola prerogativa di chi è direttamente coinvolto.

 

Per saperne di più:

Witty Wheels: Due Sorelle in Carrozzina

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