Tutto quello che ho visto e imparato FUORI dalle mura del Festival del Giornalismo.
Non è importante la meta, ma il cammino. Paulo Coelho
Qualche anno fa ero stata a Perugia per un Eurochocolate. Forse ci avevo pure pernottato per un altro viaggio. Ma zero, tabula rasa. Prima di questo festival non ricordavo nulla della città. Sembra che alcuni viaggi in compagnia li ricordi per altro, non per il luogo, se il luogo non è rilevante in quel preciso momento.
Quest’anno, invece, Perugia ha rappresentato il mio Primo Festival del Giornalismo. Un viaggio da sola. Di formazione sì, ma anche di relax mentale. Non la dimenticherò più, promesso.
ANDATA
Parto prestissimo, verso le 7.30. C’è nebbia intorno, sembra Padova. Sono molto rilassata, per niente scocciata, nonostante sia sabato mattina. Quando fai quello che vuoi, non può pesare un orario scomodo, né una borsa troppo pesante in spalla.
All’andata una ragazza della mia età parla per quasi tutto il viaggio da Roma Termini a Terontola (AR). Si lamenta con i compagni di viaggio perché ha una collega sempre triste. Mi chiedo se possa avere dentro di sé qualcosa di più interessante da raccontare essendo – a sua detta- una dottoranda…
Scende qualche fermata prima di me, per fortuna.
Nel treno da Terontola a Perugia, invece, noto un uomo seduto nei pressi del mio sedile. Siamo soli nel vagone. Faccia familiare, oltre quarantanni, pieno di anelli vistosi. Vestito elegante ma con le scarpe da ginnastica. Capello sconvolto e libro in mano. Digita rapidissimo qualcosa sul tablet, sembra stia studiando. Penso sia un docente universitario, ma non è così. Lo scoprirò solo molto più tardi.
Arrivo a Perugia, trovo il delizioso minimetrò. In un attimo sono al centro, in due minuti all’Hotel Brufani, sede operativa del Festival. Il clima è frenetico, incontro qualche amico, qualche conoscente. E Perugia diventa già accogliente.
Dopo il gelato alla cannella, battesimo perfetto per il mio arrivo, con il pass verde al collo mi dirigo alla ricerca del B&B dei Filosofi. Mi scorta una donna bionda, una perugina gentilissima. Ha un negozio di abbigliamento ma segue i corsi del festival “perché sono belli“. Questo mi piace, quasi mi esalta.
Sono vicina alla via dei Filosofi. Tiro fuori Google Maps, mi fermo sul ciglio della strada, sopra un marciapiede. Un autobus frena. Alzo lo sguardo. Dov’è il semaforo rosso? Dov’è la fermata? Niente. Il conducente mi suona: si è fermato per farmi passare. Da romana, piacevolmente sconvolta per il gesto, attraverso sorridendo. Intravedo già il B&B: fuori dal portone il proprietario mi aspetta: Sei tu! Hai un look inconfondibile!
Ma quindi i giornalisti so’ tutti uguali?
L’appartamento è delizioso, colmo di libri. La stanza è spaziosa. Solo il giorno dopo scoprirò chi dorme nelle altre stanze.
Il pomeriggio inizia il mio festival, mi raggiunge una collega: facciamo file su file, ascoltiamo fameliche Saviano, vediamo il toccante docufilm su Regeni. Tra un giro e l’altro attacco bottone con un barista a cui chiedo – disperata – un panino. La straniera a fianco a me dice che Perugia è piena di stranieri mentre si gode l’aperitivo. Il perugino risponde che gli italiani hanno paura del terremoto, per questo non sono venuti. Effettivamente mia madre me l’ha ricordato poco prima di partire:
Certo di tutti i posti…
Io non mi sono posta il problema. Place to be, place to go.
Ore 22: al bar chiedo birra e supplico per una macedonia prima di tornare in camera. Un mix mai provato, ma ne ho voglia. Guardo con sommo distacco i “colleghi” giornalisti. Tutti distinti. Faccio un breve riassunto delle personalità incrociate superficialmente: mi sembrano parecchio spocchiosi. Dal ragazzetto che critica aspramente i compagni di corso in pausa pranzo al direttore del giornale famoso che distrugge ogni giovane nei paraggi. Che strani ‘sti giornalisti. Un assaggio lo avevo pregustato al mio primo corso di formazione.
Torno in camera al buio, usando le scale mobili della città. Ammetto che per una donna non è mai facile girare sola di notte. Se ne sentono tante e allora stai all’erta. Sono attratta dal richiamo di una musica jazz proveniente dal locale vicino alla camera, ma vince la stanchezza e la voglia di avere una stanza tutta per me. Mi accoglie Alberto Angela in TV e tiro giù qualche santo, perché non lo dovrebbero mandare in onda di sabato, quando la gente esce.
RITORNO
Dormo come un sasso. Alle 7 mi sveglia un clacson, alle 8.30 mi fiondo in cucina per gustare la colazione, guidata dall’aroma inconfondibile del caffè. Mangio mentre la padrona di casa, una romana, mi fa compagnia. Mi sento molto a mio agio. Parla bene, come un’attrice di teatro.
Poi arriva un siciliano sui 50 anni. Facciamo colazione insieme. Mi piace così tanto ascoltarlo che resto con lui un bel po’ sul balcone assolato, mentre gli altri ospiti colazionano in silenzio. È pur sempre domenica.
Mi racconta di Palermo, della mafia, di tante cose che non so, che non ho mai visto. È distinto e ha tante cose da dire. Soprattutto non è un giornalista. Lui viene al festival come fruitore.
E la mia lezione mattutina me la sono già portata a casa senza nemmeno arrivare ai corsi del festival.
Preparo lo zaino, torno in cucina per salutare la padrona di casa. Trovo un fiorentino con un nome americano. Un giornalista che ora fa l’editore. Quanti anni avrà? 30? Sono elettrizzata all’idea di incontrare persone che sento affini, anche se non le conosco. Anche se vengono da realtà diverse. Gli ho lasciato i miei contatti per recensire i suoi libri, chissà se mi chiama.
Il colpo di grazia me lo dà il workshop condotto dalla redazione di Girl Geek Life.
Su wikipedia solo il 14% delle voci sono dedicate alle donne. E non perché non sono esistite donne geniali, ma perché nessuno ne parla.
Mi parte l’applauso automatico e nessuno mi segue. Mi scendono le lacrime dagli occhi, perché quella frase mi emoziona. Sono davvero in imbarazzo per l’improvviso, inaspettato e incontrollabile sclero! Peccato che a questi convegni siamo sempre e solo donne. Tre uomini al massimo in sala, di cui uno che cazzeggia sui social. Ce la cantiamo e ce la suoniamo.
Arriva il momento del pranzo: scelgo La Taverna. Il cameriere brasiliano non ne vuole sapere di farmi stare leggera. Sto mangiando da sola, ma non sono sola. Passa per parlare con me ogni 5 minuti, mi versa Sagrantino e Morcinaia. Mi racconta che insegna arti marziali, fa il cameriere solo per arrotondare. Gli dico che con tutto questo vino sarà lui a portarmi in stazione. Mi risponde:
Solo se non hai paura della moto!
Ma non sarà lui il mio cicerone per il rientro.
Mangio degli squisiti Ravioli con Tartufo e Parmigiano. Il tartufo fresco me lo grattugiano sul piatto. Segue Grigliata di Verdure e Pecorino fuso. Concludo con biscotti al Vin Santo immersi nella Crema Pasticcera. Avrei osato molto di più, ma poi non avrei retto il colpo. Mi aspettava il viaggio di ritorno.
Così mi areno a prendere il sole accanto alla Feltrinelli, purtroppo è chiusa fino alle 16, volevo sbirciare. Ogni viaggio è una scusa per un libro nuovo pure se i bagagli già pesano tanto. Siedono al locale accanto alcuni colleghi imbacuccati. Il sole è caldo e mi abbronza, mi sposto all’ombra per non collassare.
Vado nel giardinetto di fronte all’Hotel Brufani, mi siedo su una panchina vicino a un uomo sui 40. Inizio a guardare le pigne sopra di me, mi godo l’ombra. Si avvicina un testimone di Geova, mi chiede di visitare il suo sito web. Si sono evoluti! Solitamente farei polemica, sono tanto atea, ma il Sagrantino non perdona. Gli do il mio biglietto da visita e sorrido.
In quel momento l’uomo accanto a me inizia a parlare. È africano, di città del Capo. Da oltre vent’anni in Italia. Inizia a raccontarmi Perugia, la sua vita, le sue idee. Ascolto.
E penso che ho appreso più questa domenica fuori dal festival che dentro le mura degli hotel. Giro con lui per la città, giusto il tempo per farmi accompagnare al Pincetto e riprendere il minimetrò che mi riporterà a Roma.
Devo aspettare un’ora, ma poi salgo. Di fronte a me ci sono due adolescenti reduci dal festival. Sono educati, carini. Si passano l’acqua, condividono il caricabatterie del cellulare. Secondo me mi vedono vecchia e questa cosa mi fa pensare.
Sto tornando con un diretto, niente scali per me stavolta. Le colline e i prati scorrono insieme ai miei pensieri, finché una coppia di spagnoli inizia a parlare della metro Ottaviano. Un signore gli dà indicazioni sbagliate. Finisce così il mio viaggio, come guida di due argentini alla ricerca della linea A. Sono sorridenti: gireranno un mese per tutta l’Europa. Avranno 60 anni. Non parlano né italiano né inglese e io non parlo spagnolo. Ma ci diciamo cose e ci capiamo. Mi dicono:
Sei una brava ragazza, che dio ti benedica.
Sorrido e penso che dio c’entra sempre molto poco.
Torno carica di idee, piena di pensieri da ordinare. Alcuni piacevoli, altri meno. Mentre ripenso a tutte le conoscenze che ho fatto, tra le foto del festival lo rivedo. L’uomo pieno di anelli. Ecco chi era, Giuseppe Cruciani. Peccato, a saperlo. Magari mi avrebbe raccontato qualcosa anche lui.
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